“The Horror Podcast”, ovvero l’arte di suscitare paura attraverso i suoni

Una delle cose che da bambino mi spaventava di più era il rumore improvviso tra l’erba mentre camminavo in una strada di campagna. Era quasi sempre una lucertola, ma io avevo il terrore che fosse un serpente o qualche bestia sconosciuta. Nella casa di campagna dei miei nonni la mia camera era al secondo piano e al piano terra tutte le notti c’era una porta che sbatteva. Ne ero terrorizzato. In entrambi casi era un suono ad innescare la paura.

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Cosa deve fare un podcast horror? Esattamente questo, giocare con la mente dell’ascoltatore e innescare la paura con il suono. È quello che ho cercato di fare in The Horror Podcast, nuova produzione di Chora Media.
Esistono una serie di suoni e strumenti adatti a creare atmosfere cupe e di terrore.
Dal punto di vista musicale pensate quanto potenti sono i violini di Psycho di Bernard Herrman o al tema di Profondo Rosso firmato dai Goblin.

La musica di The Horror Podcast attraversa stili e stagioni della tradizione horror. In una puntata, Glitch, ho avuto al fortuna di poter utilizzare le musiche di Paura, la collana Cam Sugar degli horror cult italiani; in Scheletri di mezzanotte il riferimento è stato Stranger Things, in La casa stregata il metal degli Slipknot.

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E insieme alla musica i suoni: cigolii, porte che sbattono, pianoforti scordati, respiri, carillon. Ma la cosa più divertente sono i suoni della verdura. Perché se è vero che nei film horror il sangue è succo di pomodoro, in audio un osso si spezza con un gambo di sedano e un intestino si squarcia con acqua e cavolo nero e una testa viene spaccata accanendosi con un coltello su un’anguria.

Il mio studio in questi mesi sembrava un laboratorio di cucina vegetariana, mi sono anche ritrovato a cacciare urla e fare versi al microfono per creare uno zombie famelico prendendo a morsi un peperone.

 

Luca Micheli nel suo studio con alcuni degli strumenti e degli ortaggi che ha usato per creare i suoni di “The Horror Podcast”

C’e sempre qualcosa di magico quando amplifichi un piccolo suono. È come guardare al microscopio, e spesso l’oggetto in questione perde il suo senso originale e ne acquisisce uno nuovo: un colpetto sul tavolo con un po’ di eco può farci immaginare una grotta, un bicchiere ci porta dentro uno specchio, uno straccio bagnato lasciato cadere a terra diventa un piede in una pozza di sangue.

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A questa parte artigianale e antica del sound design, con Guido Bertolotti abbiamo unito un aspetto tecnologico molto interessante: la tecnologia Dolby Atmos, un nuovo tipo di lavorazione che permette di muovere il suono non solo frontalmente ma a 360 gradi, creando un’esperienza particolarmente immersiva per l’ascoltatore.

Dal punto di vista della regia il gioco diventa interessante perché puoi fare entrare e uscire suoni e personaggi non più solo da destra a sinistra, ma da ogni parte appunto. Con questo software si visualizza una stanza immaginaria dove al centro c’è l’ascoltatore e intorno a lui piccole sfere corrispondenti ai suoni che possiamo muovere in ogni direzione. La voce di un fantasma può girarci intorno, un violino può arrivare dall’alto alla mia sinistra e scendere a destra dietro le mie spalle.

È una tecnologia nata per il cinema con impianti studiati apposta e poi è approdata in ambito musicale dove sta avvenendo una vera e propria rivoluzione. Basti pensare agli AirPods ottimizzati per l’Atmos e a dischi di artisti come i Pink Floyd che vengono re-mixati in Atmos. Nel mondo dei podcast è ancora poco utilizzata anche per questioni tecniche in cui non mi addentro, ma di sicuro il futuro della fiction audio (e non solo) andrà in quella direzione.

E allora, le cuffie sono un obbligo e la luce spenta un consiglio… per una notte delle streghe tutta da ascoltare.

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