di Johnny Faina
Nel 2012 vivevo ancora a Longastrino, un paese di duemila anime circa, gatti randagi compresi. Come in molti paesi della Bassa Romagna, l’unico faro di socialità dopo le 21 è il Bar dei Repubblicani, il solo circolo sopravvissuto al suo stesso partito. È una sera di novembre e sto andando al bar per la mia Heineken da 66 a due euro e novanta. Una volta al bancone, però, vengo intercettato da un mio amico che mi informa senza mezzi termini che il mondo sta per finire. Nulla di cui preoccuparsi, era tutto previsto. I Maya avevano inciso la data su una ruota di granito qualche millennio prima: 21 dicembre 2012. Su cosa sarebbe accaduto, però, erano stati piuttosto vaghi, come gran parte delle civiltà pre-colombiane. Dovevamo essere pronti a tutto: tsunami, eruzioni vulcaniche, rivelazioni sconcertanti sulla vera natura di Jerry Scotti. Così, in quella sera di novembre del 2012, il mio amico organizzò una task-force apocalittica e mi costrinse a passare la notte nella guazza autunnale per monitorare il cielo in cerca di segnali extra-terrestri. Parlammo tutta la notte. Di videogiochi, di film e di figa. L’unica luce sospetta che avvistammo fu quella degli stabilimenti Fruttagel di Alfonsine. Se qualcosa era successo, noi non ce n’eravamo accorti.
Credo sia stato questo il seme da cui è nato il podcast.
Mi chiamo Johnny Faina, all’anagrafe Nicolò Valandro, e sono l’autore, insieme a Gianluca Dario Rota, di C’è vita nel Grande Nulla Agricolo?, un podcast fiction che racconta i misteri del Triangolo delle Bermuda Padano.
Al centro delle nostre storie, c’è sempre Villamara, un piccolo comune del Grande Nulla Agricolo, teatro di fenomeni paranormali, complotti agro-industriali e malaugurate iniziative locali. Il tutto condito con le musiche originali di Hollyspleef (Leonardo Passanti), le grafiche di Feduzzi (Federica Carioli) e il master di Gipo Gurrado.
Tratto da un monologo di stand-up ispirato a fatti non realmente accaduti, il podcast è nato nel settembre del 2020. Ha debuttato al Festival Nell’Arena delle Balle di Paglia con il primo episodio dal vivo, realizzato su un carro per la vendemmia. Un’esperienza magnifica, se non fosse stato per un piccolo incidente. Il mattino seguente, il nostro palco venne divorato dalle fiamme. Nessuno ha mai saputo chi fosse il responsabile, e ancora oggi circolano diverse teorie sull’accaduto. Ma per noi il messaggio è stato subito chiaro: registrare questo podcast non sarebbe stato uno scherzo.
Infatti, in un anno e mezzo, gli incidenti non sono mancati: voci demoniache che spuntavano dal master degli episodi, messaggi subliminali registrati a nostra insaputa e un secondo incendio che ha devastato il posto dove ci saremmo esibiti con il nostro primo live inedito. E questo per stare nel tema “problemi-tutto-sommato-gestibili”.
La vera sfida, per me e tutto il team, è riuscire ogni volta a confezionare un episodio che faccia dire al nostro pubblico «Wow, ma questi sono matti!». Una sfida che ci costa tempo, soldi e salute mentale. Se dovessimo mettere a budget le ore spese per scrivere, musicare, editare, illustrare e promuovere ogni singolo episodio, il costo sforerebbe il PIL di un piccolo comune del bresciano.
Certo, non mancano le soddisfazioni, come collaborare con tanti artisti e podcaster che stimiamo e essere il 156esimo podcast più ascoltato su Spotify Italia – salvo essere scalzati dopo una settimana da un podcast sulla coltivazione idroponica.
Questo però non giustifica tutti gli sforzi. E allora, marzullianamente mi chiedo: cosa ci spinge ad andare avanti?
Beh, credo che la risposta sia nella storiella che ho raccontato all’inizio. Certe notti, infatti, quando la macchina è calda e dove ti porta lo decide lei, mi capita di buttare l’occhio fuori dal finestrino e osservare il cielo sopra la pianura. Mi domando cosa sarebbe successo se quella notte di novembre fosse passato qualcosa sopra di noi, mentre eravamo distratti dalle nostre vite. Penso che sarebbe stato un vero peccato, se nessuno lo avesse raccontato. Poi però mi tocca inchiodare per non investire la nutria mannara in mezzo alla strada.
Che ci volete fare, la vita nel Grande Nulla Agricolo è fatta così.
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