«Molti hanno scoperto “Il Post” grazie a “Morning” e si sono abbonati», mi ha raccontato Costa. «Nel 2020 derivava dagli abbonamenti il 40% dei nostri ricavi. Oggi è più della metà»

 

Ormai i giornali che non hanno prodotto/stanno producendo/hanno in programma di produrre podcast sono rimasti pochissimi. Ma qual è il senso di fare un podcast, per un giornale? Il Post è stato il primo, in Italia, a realizzare un podcast con uno scopo preciso. «Morning è nato come operazione di acquisizione di nuovi abbonati e di rafforzamento dell’offerta agli abbonati già esistenti», mi ha raccontato Francesco Costa, vicedirettore de Il Post e autore e conduttore di Morning, rassegna stampa quotidiana in versione audio (🎧 qui c’è il link per l’ascolto). «Il Post è uno dei pochi giornali italiani senza paywall. Gli abbonati partecipano all’impresa di fare Il Post, lo leggono senza pubblicità e hanno newsletter e podcast dedicati (oltre a MorningTienimi Bordone di Matteo Bordone, ndr)».

Avevo già intervistato Costa lo scorso maggio. Allora Morning era appena partito. Il debutto del podcast aveva coinciso con quello dell’app de Il Post (sviluppata internamente). Per i primi mesi Morning è stato disponibile per tutti solo sull’app proprietaria. Dopo l’estate è sbarcato sulle varie app d’ascolto. Da metà ottobre invece si può ascoltare nuovamente soltanto attraverso l’app de Il Post. Ma, a differenza della prima fase, l’ascolto ora è riservato alle persone abbonate al giornale.

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Ho ricontattato Costa per sapere come fosse andata, come stesse andando. Il lancio di Morning è stato sostenuto anche da una serie di (bellissimi) spot realizzati con l’agenzia Genio. «Sicuramente hanno portato dei risultati. Per noi è stata anche un’occasione per imparare qualcosa di nuovo: è stata la prima vera campagna di comunicazione de Il Post», mi ha detto il giornalista. «Resto però dell’idea – banale ma vera – che anche la miglior campagna non vada da nessuna parte senza un buon contenuto. Per rendere efficace la divulgazione di un podcast serve un buon podcast, per renderla molto efficace serve un gran podcast, eccetera».

Morning si è rivelato quantomeno un buon podcast. «Non era scontato che ci fosse interesse per una rassegna stampa che dura 20/25 minuti ogni giorno», ha commentato Costa. «È stato un tentativo, abbiamo pensato a cosa potesse interessare a noi. È evidente che ha funzionato bene. Morning, nella varie bolle sui social, è parte della conversazione». In che misura Morning «ha funzionato bene»? 👇

  • «Quando era sia sull’app de Il Post sia sulle varie app d’ascolto free (Spotify, Apple Podcasts eccetera), Morning faceva l’80% di ascolti sulla nostra app, ma era comunque in cima alle classifiche delle altre app»
  • «Molti hanno scoperto Il Post grazie a Morning e si sono abbonati. Oggi Morning è ascoltato in maggioranza da persone che prima non erano abbonate a Il Post»
  • «Il passaggio dalla versione free a quella su abbonamento è stato traumatico: decine di migliaia di persone che si sono loggate tutte insieme hanno fatto crollare l’app. In questo passaggio abbiamo perso circa metà degli ascoltatori, ma lo avevamo messo in conto»
  • «Nel 2020 il 40% dei nostri ricavi derivava dai soldi degli abbonamenti. Oggi deriva dagli abbonamenti gran parte dei nostri ricavi»
  • «L’80% delle persone abbonate a Il Post ascolta Morning con frequenza»

D’altra parte, secondo Costa solo certi tipi di podcast – di servizio, come Morning appunto – riescono a fare da driver per portare abbonamenti. In generale «la forza dei podcast è invece la loro capacità di costruire una community, che si può monetizzare in modo indiretto».

Francesco Costa è nato a Catania il 21 aprile 1984. Lavora a Il Post dalla sua fondazione nel 2010 e ne è vicedirettore dal 2016 (foto di Marco Ragaini)

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Un’altra cosa che mi interessava approfondire è il lavoro che c’è dietro a Morning, che esce ogni mattina da lunedì a venerdì.

  • «Rispetto ai primi tempi, sono riuscito a infilare meglio Morning nelle mie giornate. Vado a dormire tra le 22:30 e le 23:30 e mi sveglio alle 4:40. Bevo un caffé e alle 5 mi metto al lavoro»
  • «Ci metto tre ore per fare Morning: un’ora e un quarto di lettura dei giornali, 40 minuti di registrazione, un’ora di montaggio»
  • «Sì, mi occupo anche del montaggio: mi riascolto, taglio, ripulisco, metto la sigla e i jingle…. È un montaggio che richiede una sensibilità editoriale: tolgo cose che non servono, aggiungono frasi che servono… Sarebbe difficile affidarlo a un’altra persona»

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Ho domandato a Costa quali sono, per lui, i motivi del successo di Morning, anche a fronte di un «montaggio rudimentale» («molti nei podcast cercano la più alta qualità di produzione, che però non sempre si accompagna a una ricerca della qualità del contenuto»).

  • «Morning è considerato utile. Parlo la lingua delle persone, come fa Il Post»
  • «Avevo già una mia community personale nata intorno a quello che faccio»
  • «La voce aiuta a stimolare la creazione di una community: sono io che parlo alle persone. Molti mi scrivono per dirmi che si sentono come degli amici che mi ascoltano la mattina»
  • «Morning è una rassegna stampa commentata, una cosa che non c’è tantissimo. Ho intercettato un pubblico che cercava una lettura un po’ più critica dei giornali»

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Un altro punto interessante è la scelta, da parte de Il Post, di creare un’app (da qui si può scaricare). Credo che creare un’app proprietaria solo per l’ascolto dei podcast sia una mossa azzardata. Il discorso, secondo me, è diverso se alla base c’è l’esigenza di raccogliere in modo ordinato contenuti diversi (come nel caso di One Podcast del Gruppo GEDI, di cui parlo sotto).
«Volevamo offrire podcast per i soli abbonati a Il Post e ci serviva una soluzione tecnica. Quella del feed Rss personalizzato era ed è troppo complicata. Poi sono arrivati i servizi di abbonamento di Spotify ed Apple Podcasts, ma la nostra idea era di vendere l’abbonamento a un giornale, non soltanto a un podcast», mi ha spiegato Costa.
«La nostra app non è la soluzione ideale, ma la migliore che ci sia venuta in mente. Progressivamente diventerà sempre di più l’app de Il Post, servirà anche per leggere il giornale. Per un giornale che ha già un’app ha senso includere i propri podcast in quell’app. Come la usi per leggere il giornale, così la puoi usare per ascoltare i podcast della testata».

Dal 2015 Costa è autore del progetto Da Costa a Costa, una newsletter e un podcast sulla politica statunitense. Ha pubblicato con Mondadori i libri Questa è l’America (2020) e Una storia americana (2021) (foto di Pietro Baroni)

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Costa è consapevole che inserire un podcast in un’app proprietaria è un limite alla sua diffusione. Ecco (anche) perché Il Post di recente ha lanciato Politics, podcast settimanale di attualità politica disponibile gratuitamente sulle varie app d’ascolto (🎧 qui trovate i riferimenti per ascoltarlo). A condurlo sono Costa e Chiara Albanese, corrispondente da Roma di Bloomberg («una persona competente e preparata che abbiamo conosciuto attraverso il suo lavoro»). «Dopo l’uscita di Morning dalle piattaforme, ci serviva un podcast per acquisire nuovo pubblico per Il Post, un titolo forte sul mercato free (anche se non essendo quotidiano è più difficile che arrivi primo in classifica)», mi ha spiegato il giornalista. Certo, i motivi dietro alla nascita di Politics sono anche altri: innanzitutto, il desiderio editoriale di creare uno spazio per raccontare la politica con un tono e un formato diversi da quello dei talk show e dei quotidiani tradizionali.

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Ora l’obiettivo de Il Post e, nello specifico, di Costa è iniziare a lavorare sui podcast in modo strategico. «La nostra offerta audio è nata per accumulazione di idee e opportunità, non in modo organico. Stiamo mettendo a punto una nuova serie di podcast da lanciare nel corso dell’anno. Quelli free li terremo anche sulle altre piattaforme, quelli a pagamento saranno solo sulla nostra app». I podcast in arrivo saranno quasi tutti gratuiti. «Il pubblico de Il Post segue quello che facciamo con intensità diverse. I podcast free sono un ottimo strumento per intercettare chi ci segue con meno intensità e portarlo ad abbonarsi. Per quanto riguarda la loro monetizzazione, per il futuro valutiamo la possibilità di realizzare dei podcast con degli sponsor o dei partner o di inserire degli spot pubblicitari».

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Infine, ho domandato a Costa cosa ne pensi, da osservatore, dell’approccio ai podcast del giornalismo italiano. «Ho ascoltato cose fatte bene e cose evitabili. C’è un’esplosione dell’offerta drogata dall’entusiasmo, alla ricerca della next big thing. Molti si sono tuffati nel mercato in modo irruento», ha risposto. «Non è una bolla, il pubblico c’è e cresce. Ma non ha dimensioni tali da giustificare un’offerta così vasta. Sul piano dei contenuti, si potrebbe sperimentare molto di più anziché continuare a ripetere quello che ha funzionato. E mi pare che ancora non sia chiaro che puntare sul contenuto premia più che puntare sul nome. Ora sono curioso di vedere gli investimenti di Gedi».

E lui, cosa sogna di fare? «Un giorno mi piacerebbe fare un podcast di interviste, che poi sono anche tra quelli che preferisco ascoltare. Ma non so se sono in grado. Mi piacciono molto anche le storie, soprattutto quando evitano la deriva di certi documentari di Netflix che raccontano in otto puntate quello che starebbe tranquillamente dentro due o tre. Ma per me l’attualità vince sempre».

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