L’anatomia di una verità

Per anni Kaitlin Prest ha provato a scoprire la verità sull’amore e su tutto ciò che ha a che fare con l’amore, dinamiche di potere incluse. Il suo lavoro da documentarista delle emozioni (così si definisce) è iniziato nel 2008, quando aveva 22 anni e studiava Communications and Cultural Studies a Montreal, in Canada. Insieme ad altre quattro ragazze conosciute al campus aveva ridato vita a un programma radio sul sesso intitolato Audio Smut. Il collettivo aveva avuto l’intuizione geniale di trasformare quello che era nato come talk show in un radiodramma incentrato su tematiche care all’universo queer.

Nel 2014 dalle ceneri di Audio Smut era nato The Heart, straordinario progetto di artigianato audio (l’episodio Movies in You Head nel 2015 le è valso il prestigioso Prix Italia). In questi 10 anni in The Heart Prest ha esplorato le dinamiche relazionali e le varie sfumature dell’intimità sotto ogni possibile punto di vista, a volte attraverso la fiction e a volte no. Due tra i lavori inclusi nel feed del podcast di cui va più fiera sono No, serie di quattro episodi dove esplora i propri confini sessuali dalla giovinezza all’età adulta, e Sisters, in cui lei e sua sorella Natalie raccontano il loro rapporto.

Nel 2018, durante un periodo di pausa di The Heart seguito alla separazione dalla sua partner creativa Mitra Kaboli, Prest ha dato vita a una delle sue creazioni più importanti: The Shadows, serie fiction per CBC Podcasts che – banalizzando all’estremo – rappresenta la storia semiautobiografica di un triangolo amoroso.

L’anno successivo è stato quello della fondazione dell’audio e art company Mermaid Palace, regno dell’innovazione e della sperimentazione della narrazione orale. «Non è un caso che abbia chiamato così la mia società», mi ha raccontato Kaitlin collegata in videochiamata da Montreal. Dopo avere bazzicato per anni tra New York e Los Angeles, ora è tornata a vivere nel Paese dove una coppia di musicisti l’ha messa al mondo 37 anni fa, il Canada. «Ho iniziato a capire perché la figura della sirena è così importante per me. Sono divisa tra due mondi: la femminista e la donna d’affari, l’attivista rivoluzionaria e la persona pratica che sa come manovrare le strutture oppressive e usarle a proprio vantaggio, colei che parla di giustizia sociale e quella che vuole fare cose divertenti».

Il team di Mermaid Palace nel 2019 (foto di Sam Massey)

Tra tutte le sfaccettature dell’identità di Kaitlin (Kaitlin la sirena, Kaitlin l’imprenditrice, Kaitlin la femminista queer, Kaitlin che ama l’amore), a prevalere è forse quella di Kaitlin l’artista audio, la Kaitlin che ama soprattutto il suono e che per il suono compone odi. Me lo ha detto lei stessa:

«In questi 15 anni trascorsi a indagare le relazioni, ho capito che il mio vero grande amore è la radio, creare con l’audio. Ho sempre messo la radio al primo posto. Ho speso tutta l’età adulta a pormi la stessa domanda ogni mattina e ogni sera: che cosa serve allo show? Ho vissuto dando priorità all’arte, al lavoro. È una questione che sto affrontando in terapia, il mio mantra ora è No more art over heart».

Kaitlin Prest durante la performance “Ode to sound” al festival di Chora Media, a Milano, lo scorso marzo (foto di Alessandro Bachiorri)

È in nome dell’amore per l’audio che Kaitlin smonta la propria vita e la rimonta sotto forma di opera d’arte audio, che smonta la realtà e la rimonta incollandola insieme con tocchi sapienti di sound design.

«Con il tempo, ho spostato l’attenzione dall’osservazione al processo di creazione. Il mio focus è diventato come creare la verità, e tutte le domande e le critiche che sorgono intorno a quello che significa creare una verità».

Perché quello di cui Kaitlin è sicura è che raccontare una storia, qualsiasi storia, rappresenta sempre una manipolazione dei fatti.

«Che stia facendo un documentario, un reportage, un lavoro giornalistico o altro, stai manipolando i fatti, li stai riorganizzando. Stai prendendo i dati e li stai filtrando attraverso il tuo punto di vista. So che l’integrità e l’oggettività giornalistica si basano sull’idea della verifica dei fatti e sull’assunto che non ci si limita a prendere per buona la versione di una persona, ma che bisogna confrontarla con le versioni contrastanti. Anche in questo caso, però, stai comunque selezionando quali usare tra le diverse cose che le persone hanno detto, stai comunque raccontando una storia.

Questo significa raccontare delle storie: significa prendere un universo senza senso ed esercitare un potere su di esso in modo da dargli un senso. Significa creare l’illusione del controllo e della conoscenza, pur vivendo in un mondo completamente senza senso».

Natalie e Kaitlin Prest

Se la verità assoluta è un’illusione, si può però provare ad avvicinarvisi il più possibile. È proprio l’obiettivo di Kaitlin Prest.

«Che stia facendo una fiction o un documentario, quello che racconto è il mio miglior tentativo di ottenere la massima verità possibile. The Shadows, per esempio, è una fiction solo tra virgolette: in realtà è il racconto di una storia accaduta davvero, la versione più vera che potessi trovare di una storia vera. L’ho romanzata per proteggere le identità delle persone coinvolte. Ma ha realmente importanza se la protagonista è una documentarista radiofonica o una burattinaia? No, non importa, perché non è questo il punto. Il punto è ciò che questa donna ha vissuto. È che cosa significa innamorarsi di due persone allo stesso tempo, e dover abbandonare una versione di se stessi quando ci si impegna con qualcuno.

Ho detto di essere una documentarista delle emozioni. Ma come si documenta un’emozione? È tutto nella storia. E per questo penso che la struttura della storia sia importante per ricreare un senso della verità. Perché il contesto è quello che crea il significato di uno specifico momento e determina il modo in cui arriva a una certa persona. È ciò che fa sì che, quando racconti la storia di un bacio, la persona che ascolta percepisce quanto significhi quel bacio».

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Tutti questi virgolettati vengono dall’intervista che ho fatto a Kaitlin a marzo. Oltre due ore in cui lei ha risposto con estrema generosità alle mie moltissime domande. Ha parlato dei danni che derivano dall’incapacità di condividere le risorse economiche, delle magie che accadono quando si accende un registratore, di cosa voglia dire davvero scrivere con il suono, della gentrificazione dell’industria audio, e di un sacco di altre cose super interessanti.

Grazie a Giorgio Baù puoi ascoltare questa lunga intervista (in inglese) sotto forma di podcast. La trovi qui. Si intitola How a mermaid sounds.

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Giorgio Baù, che si è occupato dell’editing, del montaggio e del sound design del tutto, è un bravissimissimo sound designer. E ha appena debuttato con il suo primo podcast, una produzione di Lo Spazioporto. Si chiama Aldilà della Collina (questo l’account Instagram, qui il link per l’ascolto): attraverso le esperienze di persone che non si sono accontentate della solita mono narrazione sulla morte, il podcast prova a raccontarla in modo diverso e fornisce spunti per imparare ad affrontarla con più serenità. È un lavoro dove c’è dentro tutta la sensibilità e la maestria di Giorgio. Non perdertelo 🦋

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