Spotify ci (ri)prova con gli audiolibri

Se definire cos’è un podcast è complicato, lo è molto meno definire cos’è un audiolibro; ossia, la registrazione della lettura di un libro. Podcast e audiolibri sono due tipologie di contenuti che fanno parte dello stesso mondo, quello dell’audio entertainment. Hanno però molte differenze. Una, sostanziale, ha a che fare con tutta una serie di diritti e interessi che con l’universo dei podcast – nato aperto e quindi libero – c’entrano meno, ma che in quello degli audiolibri sono invece cruciali. Motivo per cui il mercato degli audiolibri, sotto vari aspetti, è ben più delicato da maneggiare rispetto a quello dei podcast. Motivo, anche, per cui Spotify dopo avere conquistato il settore della musica ha puntato prima su quello dei podcast che su quello degli audiolibri, sebbene i podcast abbiano 20 anni di vita e gli audiolibri circa un secolo in più.

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Il primo tentativo di Spotify di fare un passo nel mondo degli audiolibri risale al maggio 2020, quando aveva cominciato a pubblicare i vari capitoli di Harry Potter and the Philosopher’s Stone (Harry Potter e la pietra filosofale) narrati da Daniel Radcliffe e altre star, tra cui David Beckham. Qualche mese più tardi la società aveva assegnato Nir Zicherman (cofondatore di Anchor assunto da Spotify dopo l’acquisizione di Anchor) al ruolo – fino a quel momento inesistente – di responsabile globale degli audiolibri. Nel gennaio 2021 aveva lanciato le versioni audio di nove classici di pubblico dominio, tra cui Frankenstein.

Era sempre più chiaro che c’era l’intenzione di espandersi in questo mercato, un mercato che vale oltre 5 miliardi di dollari e che a detta degli analisti entro il 2030 arriverà a valerne oltre 35.

La conferma definitiva delle mire di Spotify è arrivata nel novembre del 2021, quando la società ha comprato il distributore di audiolibri FindawayQuasi un anno dopo, nel settembre 2022, ha aggiunto gli oltre 300 mila titoli del catalogo di Findaway alla piattaforma, anche se soltanto negli Usa e in alcuni altri Paesi anglofoni, con un modello di acquisto alla carta che dà la possibilità di comprare singoli audiolibri. Ma, come ha ammesso lo stesso cofondatore di Spotify Daniel Ek, l’esperimento non è andato alla grande, anche perché la procedura di acquisto – che prevede il passaggio attraverso gli store di Apple o Google – non è proprio agevolissima.

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Ecco la ragione per cui lo scorso ottobre Spotify ha introdotto un’offerta aggiuntiva, per ora solo nel Regno Unito e in Australia, che permette agli utenti Premium di ascoltare 15 ore di audiolibri a scelta all’interno di un catalogo di 150 mila titoli (la metà di quello integrale di Findaway). Tra qualche mese lo stesso varrà anche per gli utenti Premium negli Stati Uniti, e poi man mano l’offerta verrà allargata ad altri Paesi. (Tra le conseguenze di questa novità c’è l’imminente chiusura del marketplace di Findaway per i narratori, che abbina gli autori ai narratori di audiolibri e viceversa.)

Tutte le illustrazioni fanno parte della campagna di Spotify per promuovere l’ascolto degli audiolibri sulla sua piattaforma

In un pezzo intitolato Actually, the Future of the Book Industry Starts Now Nir Zicherman (che peraltro ha appena lasciato Spotify) scrive:

Nel 2008 Spotify ha lanciato la sua prima offerta al mondo. Nell’industria musicale è stato introdotto un modello alternativo, rivoluzionario, che ha permesso ai creator di aumentare i guadagni, massimizzando al contempo la distribuzione dei loro contenuti.
Ora l’azienda sta facendo lo stesso per gli audiolibri. Mai prima d’ora il formato è stato così accessibile a così tante persone. E questa disponibilità non potrà che crescere con l’espansione di Spotify a un numero maggiore di utenti in un numero maggiore di luoghi.

La nuova offerta di Spotify è una novità nel mondo degli audiolibri: finora non c’erano mai state offerte ad ore. Si potrebbe obiettare che le 15 ore di ascolto incluse nell’abbonamento Premium siano troppo poche, e si potrebbe anche lamentare il fatto che il catalogo da cui queste 15 ore attingono è la metà di quello completo. Del resto, Spotify ha stimato che questi 150 mila titoli includono più del 70% dei libri che il New York Times considera dei best seller. Per quanto riguarda le 15 ore, considerando che un audiolibro medio dura dalle sette alle dieci ore, significa che gli abbonati possono ascoltare circa un libro e mezzo al mese. Per di più, una volta esaurite le 15 ore, se ne possono acquistare 10 aggiuntive per 11 dollari.

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Secondo molti analisti la nuova offerta di Spotify rappresenta una sfida diretta ad Amazon, che domina il settore attraverso Audible, la sua piattaforma di audiolibri. Scrive il New York Times:

Agli occhi di Ek, il dominio di Audible sugli audiolibri ricorda il controllo esercitato in passato da Apple su musica e podcast. Spotify ha costruito il suo business sconvolgendo l’industria musicale con il suo servizio di abbonamento mensile e i podcast. Ek ha dichiarato in un’intervista di vedere il potenziale per fare lo stesso con gli audiolibri.

In ogni caso, probabilmente Eric Nuzum non sbaglia quando scrive che l’audience degli audiolibri di Spotify sarà composta soprattutto da ascoltatori deboli e occasionali e che quindi la concorrenza di Spotify ad Audible & Co. non sarà così determinante.

Certo, la nuova offerta di Spotify non ha niente a che vedere con il modello “all you can listen” adottato da Audible in Italia e da Storytel in tutti i mercati in cui è presente. Mentre negli Stati Uniti con 15 dollari si ha accesso agli 11 mila titoli del catalogo Audible Plus (che rappresenta solo una piccolissima porzione del catalogo integrale, fatto da oltre 450 mila audiolibri), con in più la possibilità di ascoltarne uno a scelta dal catalogo esteso e comprare gli altri con uno sconto, in Italia Audible per 10 euro al mese dà la possibilità di ascoltare tutti i 15 mila audiolibri in italiano del catalogo. E per la stessa cifra si possono ascoltare i 13 mila titoli in italiano del catalogo di Storytel. Difficile che il nuovo modello orario di Spotify trovi mercato in Italia, dove ormai si è affermato il modello “all you can listen”.

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Il modello “all you can listen” però non piace a molti editori, soprattutto all’estero, convinti che porti alla svalutazione dei libri e alla cannibalizzazione delle vendite. Proprio per questo motivo Penguin Random House ha ritirato i propri titoli da Storytel, che come scrivevo applica il modello “all you can listen” in tutti i mercati. L’iniziativa di Spotify ha invece trovato il consenso di Penguin stessa e di molti altri editori importanti. La cosa non è piaciuta al sindacato britannico degli autori:

La Società degli autori ha appreso con grande preoccupazione dalla stampa che “tutti i principali editori di libri” hanno stipulato nuovi accordi di streaming limitato con Spotify. […] Per quanto ne sappiamo, nessun autore o agente è stato contattato per ottenere l’autorizzazione a tali licenze e gli autori non sono stati consultati sui termini di licenza o di pagamento. I contratti editoriali sono diversi, ma a nostro avviso la maggior parte delle licenze concesse agli editori per le licenze audio non include lo streaming. In effetti, è probabile che lo streaming non fosse ancora stato inventato quando molti di questi contratti sono stati stipulati.

L’ex economista capo di Spotify Will Page su LinkedIn ha scritto un post molto interessante proprio riguardo agli accordi tra editori e autori alla luce della nuova offerta di Spotify.

(Sempre a proposito dei timori suscitati dagli audiolibri & Co. in che lavora nel mercato del libro, l’Irlanda ha da poco annunciato che eliminerà l’Iva del 9% su audiolibri ed ebook. Per i libri stampati l’Iva invece è sempre stata pari a zero.)

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Al di là delle lecite preoccupazioni degli autori, quello che ci interessa qui è comprendere il senso della nuova mossa di Spotify. L’obiettivo della società, in definitiva, è diventare la casa di tutti i contenuti audio. Spotify ha detto che vuole che i suoi clienti possano scegliere in modo flessibile che tipo di contenuti ascoltare, consapevole peraltro che i vari contenuti possono essere utilizzati anche come strumenti di cross-promozione: gli audiolibri possono essere usati come spazi per promuovere i podcast, e viceversa.

Quello che la società propone è, in sostanza, un bundle. Un bundle potenzialmente utile per convincere sempre più persone a usare l’app e a usarla sempre più tempo, così da fidelizzare gli ascoltatori e trasformarli in abbonati. Ma anche, scrive Eric Nuzum, un modo per portare sempre più persone ad ascoltare sempre più contenuti non musicali, così da diminuire la dipendenza di Spotify dalle etichette discografiche e dalle immense cifre che chiedono.

L’obiettivo, insomma, è fare soldi. E quello degli audiolibri è un mercato in forte crescita e con ampi margini di profitto. Daniel Ek ha scommesso che potrebbe arrivare a valere addirittura 70 miliardi di dollari.

 

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