di Davide Panza, chief marketing officer di MDE

Non potevo astenermi dal leggere e analizzare l’atteso report di IAB US redatto insieme a PWC sull’andamento del podcast advertising negli Usa. Un mondo ancora un po’ troppo lontano per noi italiani, ma che ha il pregio di dare una visione dei trend in atto nel Paese più sviluppato di questo settore e, soprattutto, indicazioni su dove e come è meglio muoversi qui in Italia se si vuole “seguire la scia”.

Il report, disponibile qui sul sito di IAB US, è di 36 pagine, quasi tutte con grafici, numeri e indici. Qui voglio commentare i punti che mi hanno fatto più riflettere, con un occhio sul documento e uno sul nostro mercato.

1 Le revenue hanno superato la soglia di 1,4 miliardi di dollari, +40% della stima che prevedeva il raggiungimento di 1 miliardo. Che un intero comparto superi del 40% le stime sembra quasi fantascienza, per di più in mancanza di un evento speciale, una spinta esterna socio/politica/economica che spieghi questa crescita. Dai commenti del report sembra che l’allineamento favorevole di più elementi abbia dato questo boost effect del tutto inaspettato. Cerchiamo di capire meglio, nei dettagli, questo fenomeno e lavoriamo nello stesso modo anche qui? 

2 Il podcast advertising è cresciuto del 72%, più del doppio del Total Internet Advertising Market. Questo valore da un lato è spiegabile col fatto che si tratta di un mercato ancora piccolo in termini assoluti (crescere tanto in percentuale è facile quando si è piccoli), dall’altro è il risultato dell’allineamento di cui sopra, dove domanda, offerta, tech e contenuto sembra abbiano trovato una forma vincente di collaborazione. Penso, e spero, che si possa fare uno sforzo per analizzare, capire, copiare e incollare anche qui da noi senza aspettare anni.

3 La categoria “Altri” è quella che è cresciuta di più, segno dell’apertura di budget pubblicitari nel podcast da parte di molte categorie di mercato considerate minori, probabilmente trainate dai buoni risultati di big spender come Finance, Retail, Entertainment. Segnale che, portato da noi, penso inviti a guardare meglio il podcast advertising non solo i centri media, ma anche i clienti diretti e quelli seguiti da agenzie minori.

4 L’84% degli spot è in DAI (Dynamic Ad Insertion, quindi con tech apposita), con il 56% di annunci preprodotti e il 40% di spot registrati e inseriti dagli speaker. Sottotitolo evidente: lasciare stare le citazioni inserite all’interno dagli speaker in diretta, non efficaci e non conformi con la prerogativa on demand dei podcast. 

5 Le tipologie di campagne si equivalgono abbastanza, tra Direct Response al 52% e la Brand Awarness al 46%. Sono contento della conferma del risultato della seconda, molto in linea con la funzione di “parte alta del funnel” propria del podcast.

6 Il targeting utilizzato maggiormente nelle campagne è quello di Genere e di Geo, ma con buonissimo 79% del Contextual. Lato mio la pubblicità nel podcast ha nel Contextual Targeting un asset importante; soprattutto la promozione dei podcast stessi, categorizzati di default, è molto semplice ed efficace utilizzando contesti affini all’argomento trattato.

7 Il Programmatic è all’1,7% del totale delle revenue, una miseria. Anche qui la discussione sarebbe molto lunga ma preferisco passare un solo concetto a supporto di questo dato: il programmatic funziona bene in presenza di tanti dati su un media che ne genera e che li accetta, ed è la soluzione preferita dai buyer per gestire campagne precise a bassa manutenzione. Il podcast – non il Digital Audio (differenza non da poco) – non eccelle in nessuna delle caratteristiche tecnologiche espresse e necessita di una conoscenza e cura specifica nella pianificazione. Com’è che qui in Italia mi risulta che il valore sia molto, molto, molto più elevato? Mi sa che stiamo prendendo un po’ troppo sottogamba la questione e che la via facile, seppur poco efficace, sia preferita.

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