La nuova vita da podcaster di Francesca Zanni: con Spreaker Prime vola in testa alle classifiche italiane

Con settembre, tempo di ripartenze e novità, parte anche la “new season” della nostra rubrica The Spreaker Dispatch. A inaugurare la prima uscita, un’intervista ad una “primer”, una podcaster del nostro programma Spreaker Prime.

Si tratta di Francesca Zanni, 34 anni, giornalista pubblicista e podcaster. Nel 2020 è creatrice e ideatrice di Irrisolti. I misteri del crimine. Nel 2022 è uscita la sua prima inchiesta in podcast: Rumore. Il caso di Federico Aldrovandi.

Innanzitutto, cosa pensi di Spreaker e del programma Prime di cui fai parte dal 2021?
«Spreaker è stata la piattaforma che ho scelto quando ho deciso di caricare Irrisolti per conto mio. Irrisolti era nato nel 2019 come programma da trasmettere in una web radio, era caricato su un altro sito di hosting e andava in onda una volta alla settimana. Poi però, per avere un maggior controllo dei miei contenuti e per promuoverlo maggiormente (non lo vedevo particolarmente valorizzato ma avevo intuito che fosse un buon contenuto), ho deciso di caricare alcune puntate su Spreaker, avviando un semplice profilo base. Era l’agosto del 2020. Pian piano, visti i primi riscontri positivi, ho preso coraggio e ho fatto il profilo a pagamento, scommettendo con me stessa: “Se nel prossimo periodo mi ripago almeno l’abbonamento, continuo con Irrisolti“. Ed è stato così. Gli ascolti hanno iniziato a salire e poi l’anno scorso mi è stata data la possibilità di partecipare al programma Prime: un vero onore e un riconoscimento del mio lavoro, per cui mi sento di ringraziare ancora oggi Spreaker».

Cosa significa la parola “podcast” per te?
«Per me podcast significa riscatto ed è il mio mezzo favorito di espressione. Ho iniziato il mio primo podcast nel 2019, quando avevo deciso di cambiare completamente la mia vita e la mia carriera. Il fatto che il mio primo podcast abbia avuto tanto successo è stato motivo di orgoglio, e mi ha dato la forza di non mollare quando credevo di aver nuovamente sbagliato strada. A tre anni di distanza posso dire che ho fatto bene».

Perché hai iniziato a fare podcast?
«Dopo le mie due lauree e anni di lavoro un po’ dappertutto (tra cui ricerca sociale, formazione, progettazione), avevo sempre la sensazione di non riuscire a trovare la mia strada. A un certo punto, ho scelto di licenziarmi dall’ultimo lavoro e cambiare vita, per iniziare qualcosa di completamente diverso. Ho seguito alcuni corsi di scrittura e al contempo ho iniziato a lavorare per una casa editrice: la mia vita stava cambiando in meglio. Mentre mi succedevano tutte queste cose, mi sono resa conto che passavo tantissimo tempo a leggere, vedere film e serie su casi true crime. E ho pensato che magari avrei potuto aprire un blog per parlare di casi irrisolti, una mia “fissa” sin da quando al liceo guardavo la serie tv Cold Case. Nel 2019 il mio ragazzo (Enrico Bergianti, con cui ho collaborato a Rumore n.d.a.), che già insegnava a fare podcast, si è offerto di mostrarmi come funziona l’editing delle tracce audio per creare un podcast, invece che aprire un blog. E così ho unito la mia idea di raccontare delle storie con la sua di farci un podcast. La prima puntata di Irrisolti che ho scritto – Tamam Shud, il mistero dell’uomo di Somerton – l’ho registrata con lo smartphone. Dopo aver appreso i rudimenti del montaggio, dalla seconda puntata in poi sono stata indipendente: mi è venuto naturale, sembrava che fossi nata per fare quello».

Qual è uno dei tuoi Irrisolti che ti ha colpito di più?
«Sono molto legata alle storie a sfondo politico italiane, come La morte di Giuseppe Pinelli e L’incidente degli anarchici della baracca. Poi mi ha appassionato molto la storia del Menino Aranha, una storia di ingiustizia e di disagio sociale. Su 76 episodi finora realizzati però non saprei davvero quale scegliere. Sono tutte storie che ho selezionato e scelto accuratamente perché mi avevano colpito molto. So dai commenti degli ascoltatori che quelle che fanno più paura sono Il mistero del passo Dyatlov e La scomparsa e la morte di Frauke Liebs, due storie veramente assurde e avvolte nel mistero».

Cos’è per te Irrisolti e cosa Rumore?
«In due parole, Irrisolti è paura e mistero. Rumore è ingiustizia e dolore.
Irrisolti è il classico show true crime antologico, che pian piano è diventato di più. Inizialmente avevo paura di annoiare gli ascoltatori, non essendo io speaker o attrice. Pensavo che la mia voce stancasse. Allora cercavo di fare puntate brevi, e con una narrazione e un montaggio serrati. Nei tanti feedback ricevuti dai miei ascoltatori, ho capito che sarebbe piaciuto che gli episodi durassero di più. Allora ho modificato il format. E nel frattempo ho perfezionato le tecniche di montaggio e la scrittura giornalistica oltre ad aver aggiornato la strumentazione. Il mio obiettivo è non essere mai morbosa nei dettagli macabri, ma dare un taglio giornalistico serio e sempre rispettoso della vittima. In questo, i corsi dell’ordine dei giornalisti che ho seguito ma anche i miei studi personali mi hanno aiutata molto per migliorare la scrittura per quanto riguarda l’inclusione e il rispetto. Secondo me oggi c’è ancora troppa poca attenzione a questi temi. Quindi Irrisolti è anche evoluzione e sperimentazione, e mi auguro che si senta la ricerca importante che c’è dietro: ricerca sui fatti di cronaca, ricerca del linguaggio, cura del montaggio e della voce.
Rumore è tantissime cose, soprattutto umane ed emotive. È una storia di una drammaticità unica per l’ingiustizia che rappresenta, ed è stato dolorosissimo realizzarlo. Già era difficile imbarcarmi in un’inchiesta vera e propria da sola, esponendomi economicamente e pubblicamente senza supporto di alcun tipo. Ho comprato nuove attrezzature e mi sono autofinanziata i viaggi a Ferrara e il tempo che ho dedicato alla realizzazione l’ho rubato al mio tempo libero e al mio lavoro come libera professionista. Ma era una storia che era necessario raccontare per i risvolti culturali, sociali e giuridici. E nessuno l’aveva ancora fatto con il mezzo del podcast. Mi sono sentita come “chiamata” da questa storia, e vista l’accoglienza spettacolare e calorosa di tutte le persone che ho intervistato (che ringrazio ancora per avermi aperto la loro casa per parlare di una storia così dolorosa) è diventata una missione. Esistono molti libri, canzoni e documentari su Federico Aldrovandi, ma non esisteva un podcast, né tantomeno un podcast ideato da qualcuno coetaneo di Federico, che ha vissuto l’adolescenza quando l’ha vissuta lui. Anche io nel 2005 andavo a ballare fino all’alba e tornavo di notte. Tutti noi potevamo essere Federico, la drammaticità della sua morte assurda è anche questo».

Qual era il tuo obiettivo quando hai iniziato Irrisolti? E quello di Rumore? Che evoluzione c’è stata per te? Hai già pensato ad un nuovo progetto?
«L’obiettivo di Irrisolti era fare storytelling con un mezzo che poi si è rivelato essere azzeccato per me mentre cambiavo la mia vita. L’obiettivo di Rumore era, appunto, quello di “fare rumore” su una vicenda con importanti risvolti umani, sociali e giuridici nel nostro paese ancora non trattata dal podcasting italiano, per di più in modo indipendente. L’evoluzione rispetto a Irrisolti è stata enorme. Non solo per quanto riguarda gli investimenti nella strumentazione che hanno fatto salire la qualità audio, ma anche l’evoluzione giornalistica proprio nella scrittura grazie a questi anni di lavoro. Nuovi progetti? Ho tante idee, ma ancora troppo dolore per riuscire a pensare di ributtarmi su un caso come ho fatto con Rumore. Emotivamente e psicologicamente è stato molto provante e devo riprendermi prima di pianificare nuovi progetti. Sicuramente voglio fare un’altra inchiesta come Rumore, e poi un’altra, e un’altra ancora».

Come ti immagini che sia il tuo ascoltatore?
«Alcuni li conosco: rispondo a tutti sui social, e con alcuni miei ascoltatori siamo proprio diventati amici. Poi dalle statistiche di Spreaker Prime mi sono fatta un’idea. So che mi ascoltano soprattutto donne, ma so in base alle persone che mi scrivono che gli ascoltatori sono diversissimi per età e luogo di residenza».

Cosa pensi che facciano i tuoi ascoltatori mentre ti ascoltano?
«Forse quello che faccio io quando ascolto podcast: lunghe camminate o le pulizie in casa».

La cosa più strana o curiosa che ti è capitata relativamente al tuo/tuoi podcast? 
«Una mia ascoltatrice mi ha contattata dopo aver ascoltato una puntata di Irrisolti per dirmi che in passato, prima che venisse uccisa, aveva conosciuto la vittima di quella puntata. Mi ha colpito molto».

Quali sono i podcast che ascolti? Qual è il podcast che avresti voluto fare tu?
«Ultimamente sto ascoltando Soli di Roberta Lippi (Storielibere.fm) e mi sta piacendo molto. Prima di questo avevo ascoltato La Bomba (il Post), anche quello molto bello. Ho ascoltato naturalmente tantissimi podcast true crime, che rimane il mio genere preferito in assoluto. Tra i miei podcast preferiti Veleno e Limoni. Quest’ultimo è il podcast che avrei voluto fare io».

Che consigli o suggerimenti daresti ad una persona che vuole avviare un suo podcast?
«Ascoltate tantissimo. Non smettete mai di ascoltare podcast. Non è possibile fare podcast senza averne ascoltati molti, sarebbe come uno scrittore che non legge: non esiste. Questo lo dico sempre anche ai corsi di podcast che tengo».

👉 https://www.spreaker.com/

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