I podcast alla prova dei femminismi

Le statistiche confermano che le donne che conducono podcast sono la minoranza, ma la loro volontà di dare voce ai propri progetti è grande. In che modo il podcast sta diventando uno spazio per trattare tematiche femminili? E quanto spazio c’è in questo mondo per le donne? Ne ho parlato con le podcaster Giulia Perona, Giulia Cuter, Giulia Di Quilio e la producer Rossella Pivanti (tante Giulie in questo numero 😊).

NON È SENZA ROSSETTO
«Senza rossetto è nato il 2 giugno 2016 per festeggiare il settantesimo anniversario del primo voto politico delle donne italiane durante il referendum del 1946. I giornali dell’epoca titolavano “Senza rossetto nella cabina elettorale!”, invitando le donne a recarsi ai seggi struccate (per non rischiare di macchiare la scheda col trucco e inficiare il proprio voto) e per difendere quelli che consideravano i maggiori valori femminili: il marito, i figli e la casa. Quali conquiste ci separano da quelle donne che votavano per la prima volta? Di quali stereotipi e pregiudizi, invece, non ci siamo ancora liberate? Quanta strada abbiamo fatto e quanta ci resta ancora da fare?». Giulia Cuter e Giulia Perona hanno provato a rispondere a queste domande con il loro primissimo podcast Senza rossetto pubblicato, appunto, nel 2016. Dopo tre stagioni è nata l’omonima newsletter, naturale evoluzione di quello che non riuscivano a trattare nel podcast, e nel 2020 è uscito anche un libro (Le ragazze stanno bene, edito da Harper Collins).

Il 9 giugno uscirà per Audible Non è senza rossetto, il loro nuovo podcast, per parlare di cosa significhi davvero essere una giovane donna oggi e per raccontare le donne oltre ogni convenzione e stereotipo. Per farlo si sono rivolte a dodici voci di scrittrici, giornaliste, attiviste, politiche ed esperte: Elly Schlein, Marina Cuollo, Violeta Benini, Daniela Hamaui, Annalena Benini, Chiara Sfregola, Giusi Marchetta, Paola Di Nicola, Licia Troisi, Nadeesha Uyangoda, Francesca Mannocchi e Donata Columbro. Dodici donne per dodici grandi temi come figli, consenso, diritti civili, scuola e scienza.

Giulia Perona e Giulia Cuter, autrici di Non è senza rossetto

Cuter e Perona credono fermamente che le storie siano il mezzo per entrare in questi argomenti. E scelgono ancora una volta l’audio per veicolare il messaggio, per la natura intima che il podcast ha per sua natura. Perché, come mi dice Cuter, «a volte non vedere chi ti parla ti permette di sentirlo più vicino a te. Inoltre l’audio è un luogo perfetto di approfondimento: la persona che ha scelto di ascoltarti ha scelto di dedicare quel tempo proprio a te, dimostrando in partenza un interesse che in altri mezzi è più difficile trovare». Perona aggiunge che con il podcast «si arriva su un altro piano, perché hai l’attenzione del tuo ascoltatore e sta a te poi riuscire a coinvolgerlo. Noi abbiamo deciso di fare divulgazione con un linguaggio esplicativo, non dando niente per scontato. Partiamo da una scrittura semplice e andiamo in profondità, raccogliamo dati, spunti. Anche la scelta delle ospiti è stata molto curata. Sono tutte persone che ammiriamo ed è stata l’occasione per chiedere loro informazioni e opinioni. Per me il podcast ti permette di arrivare su un altro livello di ascolto e di racconto, soprattutto se ne scegli uno di divulgazione come il nostro.»

Non è senza rossetto racconta il femminismo partendo sì dalle storie, ma approfondisce ogni argomento con dati e ricerche. «Nell’ultima puntata con Donata Columbro, data journalist, mettiamo tutto un po’ in discussione dicendo che anche i dati non ci raccontano esattamente le cose come stanno. Ed è questo l’approccio al femminismo che vogliamo raccontare, mettendoci sempre in discussione». Fondamentale anche parlare di tematiche davvero importanti per le donne come il potere e la carriera, che «sono centrali nel dibattito attuale, perché non dobbiamo avere paura del potere, di chiedere e di pretendere il nostro spazio. Noi stesse dobbiamo impararlo bene e speriamo che i giovani possano fare meglio di noi».

DARE VOCE ALLE DONNE
Raggiungo Rossella Pivanti in videocall mentre si trova in un albergo di Roma. È in giro per l’Italia a registrare e produrre i lavori finali delle dieci partecipanti a Sound Up – la prima edizione italiana del progetto di Spotify che forma aspiranti podcaster con un’idea da realizzare.

Pivanti dal 2017 è una producer nel senso più americano del termine, perché segue tutte le fasi della realizzazione di un podcast: ideazione, scrittura, registrazione, sonorizzazione, montaggio e pubblicazione. È una delle poche figure con capacità sviluppate negli anni che sia in grado di lavorare su tutta la filiera. «Ho sempre lavorato nell’audio prima come speaker e programmatrice e poi come dj. Nel 2011 ho aperto uno studio di registrazione con il mio socio: tutti – uomini o donne – pensavano fossi la sua segretaria. Quando arrivavo in sala di ripresa per registrare mi chiedevano dove fosse il fonico, quello vero».

Nei primi mesi del 2018, da una soffitta affittata dopo la fine di una relazione, registra il suo primo podcast. «Ero un po’ giù di morale e volevo condividere il mio sentimento di alienazione. Ho registrato al volo col microfono del pc, montato, pubblicato e fatto ottantadue ascolti. E con ottantadue ascolti mi sono ritrovata prima su Itunes. Mi sentivo come se avessi sfondato, col mantello e la corona [ride]! Da lì ho potenziato me stessa insieme a questo mestiere: ero partita io ed era partito anche il podcasting. Ho così imparato a parlare un linguaggio che è diverso dalla radio e diverso dallo studio di registrazione, che si è sviluppato insieme a me e io insieme a lui. Quindi mi viene molto naturale creare prodotti audio».

Rossella Pivanti, producer, TEDx speaker, formatrice per Spotify e autrice 

Rispetto alla sua figura professionale mi dice: «Sai nei corsi di tecnico audio quante donne ci sono? Zero. Io credo che in futuro molte più bambine vorranno fare l’astronauta grazie all’esempio virtuoso che hanno da Samantha Cristoforetti o da Linda Raimondo. Ma quante possono pensare di fare la producer o la sound designer se non vedono altre donne fare quei lavori? Secondo me mancano proprio i role model e in questo il programma Sound Up sta davvero facendo qualcosa di concreto passando il microfono alle donne, e alle persone che si identificano come donne, facendole seguire da due tutor donne (Pivanti e Sabrina Tinelli, ndr) proprio per dimostrare che esistono anche donne che fanno questi mestieri e per confrontarsi tra pari».

C’è quindi bisogno di un programma rivolto esclusivamente alle donne con insegnanti donne? Sì, soprattutto se la risposta pubblica degli uomini è la classica “Se le donne non hanno podcast che entrano in classifica è perché non sono abbastanza brave” o se una delle tutor deve passare settimane a rispondere a uomini offesi che si lamentano che questa opportunità non fosse stata data a loro. «Sound Up è un progetto femminista che applica concretamente il femminismo. Le partecipanti hanno imparato a creare un pitch, un trailer, hanno studiato come si fa uno script e un episodio pilota. Ora stiamo realizzando professionalmente i dieci progetti e lo stiamo facendo sentendoci libere di tirare fuori qualsiasi argomento e di lavorarci tutte insieme».

IL PODCAST COME STRUMENTO DI LIBERTÀ
Giulia Di Quilio lavora con il corpo: è un’attrice e una performer di burlesque e la domanda che le viene fatta più spesso è “Cosa ne pensa tuo marito del tuo lavoro?”. E proprio da questa domanda è nato il suo podcast È il sesso, bellezza! che ha vinto il primo premio nella categoria Benessere durante gli Italian Podcast Award di quest’anno – nonostante la pochissima pubblicità che può fare sui social, che la censurano per l’uso della parola “sesso” nel titolo.

Giulia Di Quilio, podcastrer, attrice e burlesque performer

«L’idea del podcast è nata proprio da queste domande che mi vengono fatte con grande insistenza. Ho pensato quindi di mettere insieme tutti questi aneddoti per far capire che la visione che il corpo della donna appartenga prima al padre e poi al marito sia profondamente radicata in noi. Io stessa mi portavo dietro moralismi e timori ereditati dalla mia cultura di partenza. Cultura passata anche da mia nonna, che cambiava canale non appena due persone iniziavano a baciarsi. È stato un percorso anche di autoanalisi e di consapevolezza in cui ho deciso di parlare io perché non sempre mi viene permesso. Soprattutto nel mio ambito lavorativo dove, come attrice, devi spesso esprimere le opinioni, nel 90% dei casi, di un uomo, che sia un produttore o un regista».

Il fatto di essere una donna libera che esprime l’erotismo ed essere contemporaneamente sposata manda un po’ in tilt i suoi interlocutori perché «non è possibile che Giulia sia una donna libera ed è sposata, si spoglia, parla di sesso e ha pure i figli! È una cosa che turba e disturba e il podcast è stata una reazione a tutto questo». Quando le chiedo perché proprio il podcast come mezzo per raccontarsi mi spiega che le all’inizio si era immaginata il progetto come una serie tv, ma poi è scattata la scintilla quando si è messa da sola davanti al microfono: niente troupe o altri attori da gestire, solo lei, i suoi pensieri e la totale libertà di esprimersi. E poi c’è la magia della voce, strumento che consente di giocare con le varie tonalità.

In questo caso dunque la natura intima del podcast viene sfruttata principalmente dall’autrice che si sente quindi più libera di parlare e di essere presa sul serio, dimostrando che c’è un valore nonostante si ascolti una donna che usa il suo corpo parlare di sesso perché il moralismo passa dall’apparenza.

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