Numero del 28 settembre
  • Non c’è dubbio che la strategia di Spotify nel settore dei podcast finora non abbia funzionato. Il Wall Street Journal ha messo in ordine i segnali e le conseguenze di questo – gigantesco – errore strategico, che si potrebbe riassumere così: pagare persone famose cifre insensate enormi per produrre podcast in esclusiva, sperando di attrarre abbonati. Ora la società sta puntando tutto sulla pubblicità.
  • Anche a causa delle difficoltà a Spotify, negli Usa i podcast stanno vivendo una crisi d’immagine. Crisi dovuta soprattutto al fatto che «si tiene conto più di quello che vogliono le persone che hanno soldi e potere per fare podcast che di ciò che desiderano gli ascoltatori» o della qualità dei contenuti. Come se ne esce? Una bella risposta, in questo pezzo di Rebecca Sananès (affermata podcast producer) pubblicato su Vanity Fair, l’ha data uno dei migliori giornalisti audio in circolazione, Ira Glass:

    All you can do as somebody who makes stuff is just try to make something that’s actually interesting enough that another person wants to hear it.

  • Alla crisi statunitense fa da contraltare la situazione nel continente africano, considerato il continente dell’oralità, quello dove la cultura è un filo di storie tramandato da bocca a orecchio e dove la radio è il media più diffuso. In realtà il settore dei podcast lì si è fatto strada lentamente, soprattutto per limiti tecnici (per iniziare, la penetrazione di Internet è ancora bassa). Come emerge da un approfondimento del Reuters Institute, le cose stanno cambiando: i podcast attraggono sempre maggiore interesse anche in Africa, ormai in grado di produrre serie audio di successo internazionale. E in molti casi rappresentano spazi di espressione per comunità e segmenti di popolazione – come le donne – che in genere faticano a far sentire la propria voce.
  • I podcast sono diventati una comfort zone per molte donne, specialmente giovani e giovanissime, anche in Cina, Paese dove la disparità di genere continua a essere parecchio spiccata. Negli ultimi anni – racconta il Time – i podcast sul femminismo condotti da ragazze della Gen Z sono in aumento. Anche perché i podcast sono tra i pochissimi media dove la censura governativa cinese è meno capillare.
    Shiye Fu, Zhiqi Zhang e Jianguo Leng, le host del podcast femminista cinese “Stochastic Volatility”
  • Se in Cina i podcast sono anche e soprattutto uno strumento politico, in Occidente c’è chi li usa semplicemente come rumore di sottofondo per concentrarsi su altro. È il caso dei nonstop podcast listeners ritratti dal Washington Post: persone che ascoltano podcast tutto il giorno. Alcuni ascoltano per sentirsi in compagnia, altri appunto per concentrarsi su quello che stanno facendo (sì, non per tutti i rumori di sottofondo sono fonte di distrazione).
  • Cosa bisogna fare per creare un buon podcast (magari uno che non rischi di venire usato come rumore di sottofondo)? Resound, software company che si occupa di podcast, ha messo insieme trenta consigli di altrettanti esperti. Eccone un paio: pensa agli aspetti di marketing mentre procedi con la produzione, metti a punto un business plan fin dall’inizio, fai in modo che la qualità dell’audio sia ottima.
  • Quali sono invece le storture da evitare quando ci si imbarca in un podcast? Qualche idea arriva dalle serie tv, dove sempre più spesso troviamo personaggi che fanno i podcaster. Tra i più famosi c’è il caso di Carrie Bradshaw in And Just Like That (revival e sequel di Sex and the City), oppure quello dei protagonisti di Only Murders in the Building. Quasi tutti sono personaggi con tratti caricaturali, dove l’elemento satirico – spiega il Guardian – mira a fare emergere le criticità di alcune categorie di podcaster: dai “detective da poltrona” ai cosiddetti “podcast bro”.

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