Quando la fantascienza scopre il potere dell’audio

Ottobre 2020, Santiago del Cile. Siamo in un ospedale. La psichiatra Elisa Aldunate accende il registratore e inizia a interrogare un paziente a cui è stata diagnosticata una psicosi paranoide. Sulla cartella clinica dell’uomo c’è scritto “caso 63”. Lui si presenta come Pedro Roiter, dice di avere 39 anni. E dice anche di essere venuto dal futuro. Dal 2062, per la precisione. Ha un obiettivo preciso: impedire che una ventottenne di nome Maria Beitia nel giugno 2021 prenda un volo per Madrid. Se lo farà nel corpo della donna avrà luogo una mutazione del Covid-19 che porterà all’estinzione della specie umana. Sta delirando, oppure dice la verità? La giovane donna di cui parla il paziente è realmente in pericolo? E l’umanità? A un certo punto la dottoressa Aldunate non sa più che cosa credere.

Inizia così Caso 63, la serie audio sceneggiata più ascoltata su Spotify nel 2022. Un’intricatissima storia a metà tra il thriller e la fantascienza, con personaggi che viaggiano in diverse linee del tempo. L’apprezzamento del pubblico ha portato i produttori di Caso 63 a decidere di realizzarne varie stagioni: nell’autunno 2022 è uscita la terza e prossimamente uscirà la quarta, l’ultima. Quella di produrre nuove stagioni di una serie di successo è una consuetudine nel mondo della televisione, ma lo stesso non vale per il mondo dell’audio. Almeno non per le cosiddette serie orizzontali, ossia quelle dove una storia viene raccontata nel corso di più episodi (le serie verticali sono invece quelle dove ogni episodio si può ascoltare/guardare a prescindere dai precedenti e dai successivi).
Il podcast è andato talmente bene che è stato adattato non soltanto in inglese, con Julianne Moore e Oscar Isaac a dare voce ai protagonisti, ma anche in portoghese, in hindi e in bengali. Non era mai successo prima che un podcast Spotify Original non in inglese venisse adattato in diverse lingue. Al tempo stesso Netflix e la casa di produzione californiana Chernin Entertainment stanno lavorando a un adattamento per lo schermo.

Alcuni elementi della campagna pubblicitaria della versione in inglese di Caso 63 a New York City

Dietro a Caso 63 c’è uno sceneggiatore laureato in Odontoiatria, nato nel 1965 nella stessa città dov’è ambientato il podcast, Santiago del Cile. Si chiama Julio Rojas e per diverso tempo si è diviso tra il lavoro da dentista e il mondo del cinema. Avevo ascoltato Caso 63 mesi fa, ma ho deciso di contattare Rojas dopo avere sentito parlare del podcast durante la conferenza Stream On di Spotify: Julie McNamara, responsabile globale dei podcast della società, aveva raccontato che Caso 63 è stato, appunto, il podcast scripted più ascoltato su Spotify del 2022, nonché in generale uno dei cinque podcast più ascoltati al mondo su Spotify (ha raggiunto il primo posto in classifica, oltre che in Cile, in altri otto Paesi). Ho parlato con Rojas attraverso una call su Google Meet, io collegata da Palma di Maiorca e lui dalla sua città natale. E, risposta dopo risposta, ho scoperto che la storia del creatore di Caso 63 è tanto straordinaria quanto quella al centro del podcast.

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Caso 63, che ha debuttato nel novembre 2020, nella mente di Rojas è nata prima ancora che si iniziasse a parlare di Covid-19. «Alla fine del 2019 durante una riunione a Los Angeles avevo proposto a una casa di produzione di nome Fábula un thriller incentrato su una pandemia», mi racconta Rojas. «Ero incappato in una notizia secondo cui Putin voleva trivellare il lago Vostok, in Antartide. Nelle acque del lago c’è un bioma attivo che potrebbe contenere virus terrificanti per la specie umana. L’idea del thriller era che questi virus venissero rilasciati in una base antartica e che ne derivasse una pandemia». La domanda che i dirigenti di Fábula hanno fatto a Rojas è la stessa che, a un certo punto, abbiamo fatto tutti o quasi: «Cos’è una pandemia?». E lui, che si stava già documentando per il film e che era in contatto con alcuni epidemiologi con cui aveva lavorato nella sanità pubblica, ha risposto: «In una città cinese chiamata Wuhan si stanno registrando delle polmoniti atipiche, e sembra che siano causate da un virus. Immaginate che questo virus si espanda e che ci sia un alto livello di contagio. L’anno prossimo potremmo ritrovarci tutti chiusi in casa». I dirigenti avevano riso a crepapelle.

Qualche mese dopo, al principio del 2020, Rojas è di nuovo a Los Angeles, questa volta in taxi. Si rivolge al taxista: «Le do un consiglio: compri delle mascherine e del gel igienizzante, perché sta per arrivare una pandemia». Il taxista lo guarda come se fosse pazzo, e lui ripensa a un episodio di molti anni prima. Si stava avvicinando il 2000, secondo molti il mondo si apprestava alla fine. Rojas è di turno in un pronto soccorso e, come al solito, non aveva molto da fare: «Il più delle volte i pazienti lì non avevano bisogno di un dentista». Finché non arriva un uomo completamente nudo che farnetica su «un evento imminente di dimensioni planetarie». L’uomo si chiude nell’ufficio del direttore e chiede di parlare con lo psichiatra, ma lì uno psichiatra non c’è. E così gli mandano Rojas: dovrà fingere di essere lui lo psichiatra. Rojas ascolta l’uomo, che – seduto, nudo, sulla scrivania del direttore – parla della fine della civiltà e del valore della fiducia. «Capirà quanto sia deluso dal fatto che abbiano mandato un dentista del c***o a fingere di essere uno psichiatra», conclude l’uomo nudo (a smascherare Rojas era stato l’odore di una sostanza che usano abitualmente i dentisti). «Allora ebbi la sensazione di essere di fronte a qualcuno con una mente al tempo stesso straordinaria e folle», mi racconta Rojas. «Su quel taxi, all’inizio del 2020, mi sono reso conto che per il taxista io ero ciò che quell’uomo nudo era stato per me. E mi è venuta in mente l’idea di Caso 63».

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Poco tempo dopo Rojas viene contattato dalla casa di produzione cilena Emisor Podcasting, che nel frattempo stava prendendo accordi con Spotify per dei podcast in esclusiva. Gli chiedono se ha qualche storia da produrre in audio. Lui stava già lavorando all’idea di Caso 63, che consiste in sostanza in una serie di conversazioni. Immaginava che ne avrebbe fatto un film (Rojas fino a quel momento non aveva mai lavorato con l’audio), ma in realtà si prestava benissimo a essere sviluppata come podcast.
Rojas invia la presentazione di Caso 63 a Emisor Podcasting, che a sua volta la manda a Spotify. La storia convince tutti. Rojas inizia a lavorare ai copioni quando la pandemia è già esplosa, nella baita sulle Ande dove trascorre la maggior parte del suo tempo.

«Mi sono messo a scrivere di getto. Non ho avuto bisogno di guardare nulla su Google perché avevo già chiara tutta una serie di teorie e avevo creato delle cartelle sul pc con le varie informazioni», mi dice Rojas. «Mi sono imposto di inserire soltanto informazioni verificabili. Non vere, ma verificabili. Quello che stava accadendo nel mondo era già abbastanza allucinante, non volevo aggiungere ulteriori stranezze».
Nel podcast si trovano moltissimi riferimenti culturali, con rimandi a film (La jetée, L’esercito delle 12 scimmie, Hombre mirando al sudest, Ritorno al futuro e le opere di Christopher Nolan) e a libri (La fine dell’eternità di Isaac Asimov e il saggio di Nick Bostrom Are You Living in a Computer Simulation?, per esempio). Ma non mancano appunto riferimenti teorici e filosofici (la teoria del molti mondi di Hugh Everett III, quella di Jean-Pierre Garnier Malet sullo sdoppiamento dello spazio e del tempo, le teorie sui falsi viaggiatori nel tempo che circolano su YouTube e su forum vari e rimandi al buddismo e all’induismo).

«Dopo un po’ che scrivevo mi sono reso conto di essermi imbattuto in dei paradossi temporali: mi serviva uno schema». Rojas si procura un pass che lo autorizza a spostarsi nonostante il lockdown: va nel supermercato di un paese vicino, compra delle cartoline e dei pennarelli. E così crea lo schema di cui aveva bisogno. Nel giro di due mesi scrive l’intera prima stagione. «Non ero sicuro che sarebbe piaciuta a qualcuno oltre che a me. Anzi, pensavo che sarebbe stato un fallimento». Come sappiamo, Rojas si sbagliava. La serie va benissimo, e gli commissionano una seconda e poi una terza e poi una quarta stagione. E lui scrive e scrive e scrive, nella pace della sua baita in montagna.

La versione digitalizzata dello schema alla base di Caso 63

«Avevo chiara in testa tutta la storia, a eccezione di un paio di episodi della terza stagione. Ho provato a fare un gioco creativo che avesse una qualche coerenza con ciò che stavo raccontando. Visto che parlavo di una persona che viene dal futuro e dà consigli sul passato, sono andato a dormire con un taccuino sul comodino e al mio risveglio ho scritto quello che avevo sognato: ho usato gli appunti per il settimo e l’ottavo episodio della terza stagione».
Quello su cui lo sceneggiatore non aveva dubbi era che, se avesse avuto l’opportunità di proseguire con la storia, l’avrebbe fatta finire a Roma. E così è stato: «Sono ossessionato da Roma. Ci sono stato sei mesi nel 2018: stavo scrivendo un romanzo storico, El visitante extranjero, che è in parte ambientato lì. Amo il flusso caotico della città, la sensazione che tutto possa accadere. Mentre camminavo per le vie di Roma la mia memoria genetica mi suggeriva che ero già stato lì. E pensavo anche che Roma sarebbe una città perfetta per un viaggiatore nel tempo».

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Come dicevo, Caso 63 è stato il primo lavoro audio di Rojas (da allora ne ha scritti molti altri: Creepy Hunters, Quemar tu casa, Borrado, Turing, Confluencia, Cisne Rojo, Retornados e Seleccion Natural). Prima si era sempre occupato soltanto di sceneggiature per il cinema e la televisione. «In tutti i miei film c’è un momento in cui il dialogo genera un’immagine sull’immagine. Per il podcast ho usato lo stesso tipo di dialoghi, dialoghi che danno vita a un universo visivo. Le parole possono creare nella testa delle persone bellissime situazioni immersive in 4K», spiega Rojas. «Ho deciso di approcciarmi al podcast come a un film, facendo attenzione che le descrizioni nascessero attraverso il dialogo e i suoni. Non volevo cadere nella “trappola” della scrittura per l’audio. E non volevo nemmeno farmi influenzare dalle altre esperienze di narrazione audio». Lo sceneggiatore mi racconta che in Cile – Paese con una forte tradizione di fiction radiofoniche, dove si sta investendo molto sugli audiodrammi (oltre che sui «podcast di saggistica», come quelli di Radio Ambulante e de Las Raras) – fino a quel momento nelle serie audio narrative c’era la tendenza a inserire un narratore che introducesse i personaggi (qui trovi uno studio sullo stato dei podcast in Cile).
«Prima di Caso 63 praticamente non ascoltavo podcast, a eccezione di conversazioni tra scienziati. Ho capito il potere dell’audio dopo avere ascoltato una serie fiction intitolata Guerra 3, sulla storia di una reporter di guerra in Corea del Nord», prosegue lo sceneggiatore. «Lavorare con l’audio significa lavorare come se avessi il budget di registi del livello di James Cameron o Christopher Nolan. Dà una libertà inebriante, che bisogna anche saper gestire. Un ruolo fondamentale ovviamente ce l’hanno colonna sonora e suond design: il sound designer nei podcast ha un ruolo simile a quello del direttore della fotografia nel cinema».

Rojas dice che intorno a Caso 63 è nata unavivace  comunità di fan: «Mi scrivono per mostrarmi le loro teorie, per chiedermi spiegazioni. Ho anche ricevuto meravigliosi audio di bambini che hanno ascoltato una storia audio per la prima volta nella loro vita o di anziani che hanno nostalgia dei giorni in cui le storie orali erano la cosa più importante. Mi ha colpito molto l’audio che mi hanno inviato i genitori di un bambino nello spettro autistico: mi raccontavano che il bambino stava ascoltando il podcast con un’attenzione incredibile. Mi è successa anche una cosa divertente. Ho sentito che delle persone accanto a me, in un bar, stavano discutendo su Caso 63. Ho continuato a bere il mio caffè e ho pensato che le storie, una volta venute alla luce, non appartengono più al loro creatore».

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Caso 63 non è stato soltanto il primo lavoro audio di Julio Rojas. È stato anche il suo primo lavoro di fantascienza. Fino ad allora si era dedicato soprattutto a sceneggiare film drammatici, alcuni dei quali hanno vinto premi importanti, come il Goya. In realtà ha sempre scritto anche di fantascienza, ma come hobby. «Per qualcuno, come me, che non aveva una carriera da scrittore di fantascienza, l’audio era l’unica possibilità di mostrare ciò che avevo in mente», osserva. «Caso 63 ha dimostrato che questo genere può essere prodotto anche fuori dagli Stati Uniti. Grazie al podcast sono entrato in contatto con un ecosistema di scrittori cileni di fantascienza molto vibrante. Di recente insieme ad altri autori latini ho scritto la serie tv El refugio, su un’invasione aliena, e presto il mio romanzo distopico El final del metaverso verrà adattato per lo schermo. La fantascienza ci permette di spiegare meglio di ogni altra cosa il mondo mutevole e strano che stiamo vivendo. Anche se c’è da dire che, rispetto a quello che sta succedendo ora nell’ambito dell’intelligenza artificiale, la fantascienza è rimasta indietro».

La passione di Rojas è iniziata molti anni fa, e nella sua biografia ci sono elementi che possono averla incoraggiata. «Il padre di mio padre inventò specchi per vedere le stelle, un molo, un sottomarino…», mi racconta. «Sono cresciuto col mito del nonno inventore, che a un certo punto si perse mentre osservava una cometa su una montagna con i suoi strumenti ottici. O meglio, è quello che mi dissero. Probabilmente aveva abbandonato la famiglia e poi era tornato, pentito. Ma la storia dello smarrimento – puro realismo magico – mi piacque molto». Rojas, figlio unico di un padre anziano che lavorava in una fabbrica di salnitro nel deserto, cresce con la madre e la nonna. Con quest’ultima era solito ascoltare alla radio una soap opera horror intitolata Lo que cuenta el viento. «Crescere in mezzo alle donne mi ha trasmesso l’idea che non dovevo essere qualcuno che si comportasse da invasore nell’universo. E mi ha anche avvicinato alla lettura».

Da ragazzino spesso va a leggere nella Biblioteca Nazionale di Santiago del Cile. Qualche volta sgattaiola di nascosto in una sala dove sono conservati libri giganti. Lì s’innamora della Storia Naturale di Plinio, «il primo libro di fantascienza che ho letto, un libro fatto di bugie raccontate benissimo». Poi arrivano Isaac Asimov e Ray Bradbury, ossia gli autori che innescano la sua ossessione per Marte (il suo podcast Retornados è ambientato sul pianeta rosso). Il passo successivo è Philip Dick, con la sua idea che il mondo sia una simulazione. «Un altro autore per me fondamentale è stato Jorge Luis Borges. Il suo primo libro che ho letto, L’Aleph, me lo regalò la mia prima fidanzata importante alla fine della nostra relazione. Nell’ultimo racconto della raccolta il Borges protagonista si trova di fronte a un mistero enorme, una specie di intelligenza artificiale: un punto da cui si può accedere all’intero universo. E il padrone dell’Aleph, di questo punto in cui si incontrano tutti i punti, è un imbecille. Mi sembra una metafora perfetta per ciò che sta accadendo ora».

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I più attenti e pazienti tra i lettori forse si staranno chiedendo qual é la parte della vita di Rojas in cui è stato un dentista. Un dentista speciale, affascinato dalle piramidi, da Fulcanelli e dagli alchimisti in generale, da occultisti come Aleister Crowley. Un dentista che conosceva a memoria Il mattino dei maghi di Louis Pauwels e Jacques Bergier e che cercava un altro tipo di realtà. Ecco, se Julio Rojas ha iniziato a fare il dentista è stato merito, o colpa, della letteratura. «Avevo 17 anni e non sapevo che cosa fare dopo il liceo. Mi sarebbe piaciuto studiare Letteratura, ma non avevo il background culturale adatto. Oppure Chimica, visto che mio nonno era chimico. All’epoca stavo leggendo Il tunnel di Ernesto Sabato, dove c’è un personaggio enigmatico chiamato María Iribarne. A un certo punto mi spunta un dente del giudizio, e mi spunta in modo così anomalo che il dentista mi porta alla facoltà di Odontoiatria per mostrare agli studenti il mio caso. E scopro che l’alunna incaricata di redigere la mia cartella clinica si chiama María Iribarne. Mi è sembrato un segno del destino: ho deciso di provare il test di Odontoiatria, e sono entrato». Alla prima lezione un professore dice una cosa che colpisce molto il giovane Rojas. L’insegnante dice che moltissimi serial killer sono stati scoperti non dalla polizia, ma dai dentisti. E che l’edificio che ospita la facoltà di Odontoiatria è stato un regalo del presidente del Cile al dentista Germán Valenzuela Basterrica per avere scoperto il responsabile di un crimine. Anni dopo Rojas avrebbe scritto un romanzo – El visitante extranjero – in cui parla di un dentista forense alle prese con Jack Lo Squartatore. «L’odontroiatria ha avuto un ruolo centrale anche nel ritorno della democrazia in Cile», aggiunge Rojas. «Molti dentisti sono stati fondamentali per il riconoscimento dei detenuti scomparsi durante la dittatura di Pinochet».

La domanda che sorge a questo punto è un’altra: in che modo un dentista si è avvicinato al mondo della sceneggiatura? Rojas: «Ho sempre scritto di fantascienza. E durante un incontro sociale ne avevo parlato con due produttori. Loro erano rimasti colpiti dal fatto che un dentista si dedicasse alla scrittura di cose così strane e mi hanno invitato a partecipare a un workshop di sceneggiatura con uno sceneggiatore cileno molto famoso, Jorge Durán». Per diversi anni Rojas divide la propria vita tra il lavoro da dentista e quello da sceneggiatore, finché un giorno esce dal suo studio, inciampa in una buca sulla strada e si frattura un piede. Decide di prendersi tre mesi “sabbatici”, in cui si dedicherà solo alla scrittura mentre il piede guarisce: «Da allora non sono mai più tornato al lavoro da dentista, anche se non ho mai smesso di frequentare l’ambiente». L’ultimo film che ha sceneggiato mentre lavorava ancora da dentista è stato Mi mejor enemigo, del 2005, sul conflitto del 1978 tra Cile e Argentina: «Ragazzi che fino al giorno prima giocavano a calcio insieme all’improvviso vengono separati da un confine. È la follia della guerra, che porta a sacrificare la vita di giovani che non hanno nemmeno idea del motivo per cui stanno combattendo».

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Il passato di Rojas in ambito sanitario emerge chiaramente in Caso 63. Spesso nei dialoghi viene usato un linguaggio medico molto preciso. E per alcune scene Rojas si è ispirato agli ospedali che ha frequentato. Questo podcast è, da vari punti di vista, il lavoro più personale che lo sceneggiatore abbia mai realizzato. «La pandemia ha attivato in me la nozione di vulnerabilità, mi ha fatto sentire che esiste una rete di cause ed effetti da cui non possiamo scappare», dice. «Ho sempre saputo che virus ed esseri umani continueranno a incontrarsi finché uno dei due non vincerà, forse per via della mia formazione nella sanità pubblica e per alcune nozioni base di epidemiologia. Ho sofferto della sindrome di Cassandra: nessuno ha mai creduto ai miei avvertimenti».

Secondo Rojas alla base del successo di Caso 63 ci sono proprio i cambiamenti innescati dalla pandemia. I cambiamenti di prospettiva, innanzitutto: «Prima quello del futuro era considerato un tema, paradossalmente, futuro. La sensazione, a livello collettivo, era che il cambiamento climatico, l’intelligenza artificiale, le distopie, le democrazie a rischio, le grandi pandemie, i robot fossero materiale per i film sulle catastrofi. C’era l’idea che ci fosse ancora molto tempo, e che nel frattempo avrebbero risolto tutto gli “esperti”. La pandemia ha fatto crollare quel concetto. Il tempo non c’era più: il futuro era già arrivato e gli esperti non esistevano, i governi non erano all’altezza. Poi ne siamo usciti, ma ora con l’intelligenza artificiale siamo allo stesso punto di prima. Cosa accadrà? Ci ritroviamo nell’incertezza totale. E penso che sia per questo che Caso 63 è andato così bene: quale cura migliore per l’incertezza di un viaggiatore del tempo che ci parli del futuro?».

Julio Rojas nella sua baita sulle Ande cilene con il suo meta detector. Alla domanda «Quali sono i tuoi sogni ora?» mi ha risposto: «Una settimana nel deserto, senza Internet, alla ricerca di meteoriti e tesori con il mio metal detector»

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