Elogio della stranezza

Mi chiamo Amedeo Berta e oggi, i podcast (insieme a un paio di altre cose), sono il mio lavoro.

Il primo che ho fatto si chiama Strano, e va avanti senza sosta dal 2019. All’inizio non sapevo come si mixasse un file audio. Il mastering poi non comprendevo neanche cosa fosse. E non avevo nemmeno capito che i podcast potevano essere suddivisi in stagioni, quindi mi sono imbarcato in questa roba senza sapere bene dove saremmo arrivati. E, se negli anni ho imparato a mixare e masterizzare le tracce su cui lavoro, continuo a non avere idea di dove mi porterà questo progetto.

Amedeo Berta fotografato da Francesca Leonardi

Così come non so nemmeno dire con esattezza quando sia nato, Strano podcast. Potrebbe essere nato da un’infinità di ricordi, di momenti, di storie.
Dalla foto del mio ultimo giorno di asilo, in cui stringo una pergamena e indosso un “tocco” di cartone blu in testa, sopraffatto da un senso di fine, tristissimo in mezzo a una marea di bambini e bambine che esplodevano di un entusiasmo a me incomprensibile.
Dallo sguardo del mio compagno di scuole elementari che, dopo avermi chiesto cosa stavo ascoltando con il mio walkman, sbianca quando gli allungo le cuffie e gli mostro una cassettina con sù scritto SEPULTURA.
Dalle prese in giro dei miei compagni delle medie quando, a una festa di compleanno, si rintanano in un angolo a guardare il calendario hot di Marina La Rosa, mentre io mi allontano intimorito. Non ero ancora pronto a scoprire i corpi altrui. Ma certe cose non le sai spiegare a te stesso, figuriamoci agli altri.

Da quella mattina in cui all’ingresso delle scuole medie, ho passato cinque minuti a schivare una pioggia di sputi rivoltami da tre ragazzini che mi avevano preso di mira. Lì ho anche capito la relatività del tempo, che cinque minuti possono essere pochissimo o moltissimo, a seconda di come li impieghi. Quando sono entrato in classe mi stavo ancora pulendo la giacca. Credo di non averlo mai raccontato a nessuno, come se dovessi essere io a vergognarmi.

Da quella volta in cui alle superiori, dopo aver realizzato che un giorno sarei morto anch’io, ho passato qualche settimana in stato praticamente catatonico, ma non abbastanza da non sentire le risatine di alcune compagne che trovavano irresistibile (comprensibilmente, vista l’età) la mia faccia. E io che ero lì ma non ero lì, e mi affacciavo su qualcosa che nemmeno riuscivo a verbalizzare.

Da quel pomeriggio in cui, comprando un boccettino di smalto per le unghie, alla commessa che mi chiedeva se era per me, ho mentito dicendo che era un regalo. Anche se poi in realtà lo avrei messo di lì a poche ore per andare in giro, e senza vergogna alcuna.

E la lista potrebbe andare avanti tanto…

Insomma, quello che voglio dire è che Strano nasce da un’urgenza che è sempre stata lì, dal bisogno di dar voce a qualcosa che sarebbe stato molto più faticoso mettere a tacere che lasciar fluire. Un qualcosa che non ha davvero un inizio specifico.

La cover di “Strano podcast” di Amedeo Berta

L’interesse per i podcast è arrivato dopo. Quando ho capito che, tra il resto, mi avrebbero permesso di dar voce a questo aspetto fondante della mia vita. Ho pensato di andare a cercare altre persone che si siano sentite, o che si sentano tutt’ora, strane, come me.

È per me che lo faccio, questo podcast.
E, nel farlo, ho l’opportunità di chiacchierare con gente che fa cose che amo, e scoprire che puoi chiamarli libri, fumetti, dischi o come vuoi… Ma alla fine, sotto la loro forma fisica, sono sempre la stessa cosa: ricordi, momenti, storie.
Un sentiero per me sinceramente appassionante e intenso.

A muovermi su questo sentiero è la curiosità, la stessa con cui seguirei le impronte di un animale selvatico nella neve. Un percorso a me sconosciuto, ma allo stesso tempo ormai così familiare.

Per me Strano è un’esperienza fortemente umanizzante. E per questo devo ringraziare (oltre alle persone che mi dedicano del tempo) la mia stranezza. La ringrazio per avermi invitato a seguirla, per aver insistito chiedendomi di fidarmi di lei, per avermi preso per mano e, per avermi insegnato come abbracciarla.

Io, oggi, alla mia stranezza voglio bene. Non è stato un percorso facile, e non credo sia un percorso che abbia veramente una fine.
Ma quello che ho trovato è molto più grande di tutti gli insulti e gli sputi che mi sono stati appiccicati addosso da ragazzino. Più grande di tutte le volte in cui ho mentito per nascondere un mio interesse o gusto. Più grande di tutte le volte in cui ho provato ad autoconvincermi di essere qualcosa che non sono mai stato.

Quella che sembrava una maledizione, si è rivelata un’occasione immensa.
Una parola che mi veniva rivolta con fare giudicante, oggi è il nome di uno spazio in cui sto bene.
Strano.

Non so dove conduca questo percorso, ma comunque vadano le cose so che, per adattare una citazione di Wisława Szymborska: «Preferisco il ridicolo di continuare ad abbracciare la mia stranezza, al ridicolo di non farlo».

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