Esistono oltre 26 mila podcast in lingua italiana.
La maggior parte è opera di podcaster indipendenti, di cui non sappiamo quasi nulla: se in Italia le indagini su chi ascolta podcast sono ancora pochissime, quelle su chi li fa sono persino di meno.
Lo studio sui podcaster indipendenti messo in piedi da Matteo Ranzi di Podcast Italia Network insieme a me e a Giulio Gaudiano di Assipod, e realizzato con il supporto di Vois, ha l’obiettivo di colmare, in parte, questa lacuna.

1. Il profilo dei partecipanti

La maggior parte delle 216 persone che, lo scorso marzo, ha risposto alle nostre domande vive tra Milano, Roma e Torino e ha tra i 40 e i 50 anni. La seconda fascia d’età è quella che va dai 30 ai 40 anni.

Circa un quarto dei partecipanti al sondaggio ha iniziato a dedicarsi al podcasting due anni fa, in coincidenza con lo scoppio della pandemia (quando la produzione di podcast in lingua italiana ha registrato un picco enorme). Il 42% però produce podcast da tre o più anni, mentre un terzo lo fa da un anno o meno.

2. Gli strumenti e i programmi usati per registrare ed editare

Devo dire che mi ha sorpreso scoprire che ben due terzi usano il filtro anti-pop, dispositivo che elimina il suono emesso quando pronunciamo determinate consonanti (la “b” e la “p” su tutte). Altri due terzi usano un microfono USB, mentre un terzo si serve di un microfono XLR (più costoso e raffinato). Quasi il 60% fa uso di cuffie da studio, preferite di gran lunga agli auricolari dello smartphone (usati da circa il 14%). Anche i vari sostegni per il microfono risultano piuttosto diffusi: il 54,4% usa un supporto da tavolo o da terra, il 38,7% il braccio per microfono, il 30,9% il sostegno anti shock o “ragno”. Il 28,1% adopera una scheda audio, il 26,7% si serve dello smartphone e il 24,4% usa un registratore digitale.

Per quanto riguarda i programmi, il più usato è Audacity (41,5%), che è gratuito, seguito da Audition (13,8%) e da GarageBand (11,1%). Ci sono poi Reaper (6,4%), Anchor (5,5%) e Spreaker Studio (5,1%).

3. L’ambiente dove si registra

Solo poco più di un quinto dei partecipanti ha risposto di servirsi di uno studio di registrazione o di un home studio trattato acusticamente.
Il 41,9% ha detto di non trattare in alcun modo l’ambiente dove registra. C’è poi chi usa pannelli fonoassorbenti (14,3%), chi un pannello isolante per il microfono (13,8%), chi si serve di tende, coperte e cuscini (circa il 9%), chi registra nell’armadio o in ambienti di piccole dimensioni (circa il 9%). Appena il 5,1% si rivolge a un professionista.

Quasi il 44% comunque vorrebbe provare a registrare in uno studio professionale. Circa il 22% lo ha fatto almeno una volta. Di questo 22%, il 4% ha detto che non ha intenzione di rifarlo. Un altro 34% non lo ha mai fatto e non vuole farlo. Perché? Il motivo principale è il costo (40,8%), mentre una percentuale più piccola fa riferimento all’eccessiva distanza dello studio (11,7%). Un terzo semplicemente non è interessato.

4. Gli aspetti da migliorare

Gli aspetti su cui i partecipanti al questionario dicono di voler migliorare mi sembrano riflettere le principali criticità del podcasting, almeno in Italia.
Il marketing e la promozione sono stati indicati come ambiti dove migliorare da quasi il 55% delle persone. La stessa percentuale riguarda la monetizzazione. Seguono il sound design (41,9%), l’editing (36,9%), la dizione (24,4%), la registrazione (23,5%) e lo storytelling (23,5%).

Anche sulla conoscenza della normativa sull’utilizzo di musica e contributi audio esterni c’è da lavorare. Oltre la metà ha detto di conoscere la normativa solo in parte, un quarto non la conosce o ne ha un’idea confusa. Solo il 22,6% ha risposto di conoscerla.

5. La promozione

A proposito di promozione, oltre la metà dei partecipanti per far conoscere il proprio podcast si limita a usare i suoi social personali. Il 15,2% fa pubblicità nei social. Il 14,3% usa il gruppo Telegram creato apposta per promuovere il proprio podcast. Il 15,7% non fa nulla: distribuisce il podcast sulle piattaforme e spera che qualcuno lo ascolti.

6. Le ambizioni di guadagno

Per quanto riguarda invece la monetizzazione, oltre un terzo afferma che se il podcasting fosse un lavoro remunarativo farebbe solo quelloCirca il 60% cercherebbe di fare prevalentemente quello, ma si terrebbe comunque un altro lavoro (questa percentuale è forse indice del fatto che il podcasting è percepito ancora come un settore precario). Per il 6% invece il podcasting è solo una passione.

Ma cosa si intende per “lavoro remunerativo”? Per essere soddisfatto il 38,2% vorrebbe guadagnare 2000 euro netti al mese. Il 30,9% si accontenterebbe di 1000, il 18,9% di 500. L’11% mira a 5000 euro netti mensili o più (!!!).

7. L’ascolto di altri podcast

Passiamo all’ascolto. Spotify è l’app più usata: se ne serve l’80,6%. Tutte le altre app raggiungono percentuali molto più basse: Spreaker il 34,6%, Apple Podcasts il 30,9%, Google Podcasts il 13,9%, Audible il 9,7%, Amazon Music il 5,5%. Un dato che mi ha colpito riguarda YouTube: solo lo 0,5% dei podcaster l’ha indicata come app che usa per ascoltare podcast – da varie ricerche invece risulta una delle piattaforme più usate, nonostante i cosiddetti video podcast di YouTube tecnicamente non siano dei podcast.

La larga parte dei partecipanti dichiara di ascoltare da parecchio tempo (l’80,2% ascolta podcast da tre anni o più).

Circa la metà ascolta tra le due e le cinque ore di podcast alla settimana, poco meno di un quarto oltre cinque ore e poco più di un quarto meno di due ore.

Quasi la metà delle persone ha detto che nel mese precedente alla compilazione del questionario ha iniziato ad ascoltare meno di due nuove serie podcast.

Tra i “podcast preferiti” più citati ci sono Morning di Francesco Costa, Stories di Cecilia Sala, Il podcast di Alessandro BarberoMorgana di Michela Murgia e Chiara Tagliaferri, Veleno di Pablo Trincia e Alessia Rafanelli e Il dito di Dio di Pablo Trincia e Debora Campanella.

8. L’incontro con altri podcaster

Un paio di domande del questionario miravano a indagare sulla community dei podcaster e degli appassionati di podcast.

Tra i canali che hanno permesso l’incontro il 41% ha indicato i gruppi su Facebook, il 26,7% i gruppi su Telegram e solo il 5,1% i gruppi su LinkedIn. Emerge anche l’importanza degli eventi dal vivo e dei vari eventi di networking, selezionati come canali di incontro dalla metà dei rispondenti. D’altra parte, segnalo che oltre un quarto ha indicato invece che non è proprio entrato in contatto con altri podcaster o appassionati.

In ogni caso, il 97,2% delle persone avrebbe piacere a collaborare con altri podcaster.

9. Le motivazioni

L’ultima domanda del questionario aveva lo scopo di individuare le motivazioni dietro alla scelta di realizzare podcast. C’è chi ha parlato del desiderio di comunicare, condividere o divulgare determinati argomenti, di fare informazione, di entrare in contatto con altre persone. Chi ha spiegato di usare i podcast per promuovere il proprio lavoro. L’elemento più comune però è la passione, il divertimento, il piacere di raccontare e di esprimersi. E poi c’è anche il risvolto terepeutico, come traspare per esempio da queste risposte: «Perché mi dà gioia», «Perché mi fa stare bene», «Perchè è la cosa che da un senso alla mia vita!».

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